INDEX #II
Agli occhi
di chi, come me, vive nella vicina Puglia e condivide problemi per certi versi
affini, la Basilicata appare oggi come una terra ricca di contraddizioni ma
anche di enormi potenzialità. Una terra con paesaggi suggestivi, ben
oltre l’appeal più noto dei Sassi di Matera: ancora poco violata
dalla speculazione edilizia e straordinaria per la varietà di scenari
sfuggiti alle invasioni di un turismo di massa. Ad accorgersene precocemente
è stato il cinema, che con Pasolini ritrovò qui la sua Palestina
dell’anima – ben più a fondo delle scenografie della Passione
di Mel Gibson – e con Lina Wertmuller i turbamenti dei “basilischi”
al contatto con le contaminazioni della borghesia urbana. Dalla prima generazione
di registi come Rossellini, Rosi, i Taviani, Visconti, Kiarostami, è
maturato il sentimento del nostòs, il desiderio struggente del ritorno
degli emigrati. Anche in punta di intellettuale ironia, dalle testimonianze
di un critico come Beniamino Placido all’affettuoso road movie Basilicata
coast to coast di Rocco Papaleo, non a caso film di esordiente come regista.
Sebbene qui non funzioni ancora una struttura importante di sostegno come
l’Apulia Film Commission, la cultura della visione sta contribuendo
a mutare l’immagine di una regione per troppo tempo esclusa dai gran
tour non solo culturali. Ma certo non basta, come non è bastato a far
volare l’economia il sogno miliardario del petrolio o il boom, presto
sgonfiato, dei salottifici. Mancano collegamenti veloci e quindi frequenza
ed intensità di contatti e di confronti. Dall’isolamento secolare
si è consolidato il ripiegamento su una cultura di introversione umanistica
e dall’emersione del meridionalismo democratico la costruzione di un
immaginario di stampo popolare, fra realismo sociale ed espressionismo fantastico.
Ma tempi nuovi esigono la necessità coraggiosa di elaborare nuove strategie.
E, grazie al contributo delle giovani generazioni, sembra che l’arte,
nel suo ambito, ci stia provando a smuovere le cose…Anche dalla distanza
critica di chi, come Bruno di Lecce, vive a Berlino, “la Basilicata
ha molto da offrire alla ricerca artistica contemporanea, in quanto conserva
i segni di passaggi millenari dell’uomo che ha di volta in volta trasformato
il paesaggio abitativo… Ci sono temi e materiali di lavoro infiniti
per studiosi, artisti, architetti e creativi di ogni ambito”. Ma
non ci sono le infrastrutture e scarsa è la coscienza collettiva di
un ruolo, quello dell’artista, che è qualcosa in più di
un semplice diletto personale. Eppure c’è chi, come Elisa Laraia,
nella sua Potenza ha deciso di tornare. Dopo aver studiato a Bologna e aver
mosso proficui passi nel mondo dell’arte creando nel capoluogo emiliano
un’associazione e uno spazio, Orfeo Hotel, molto attivo nella promozione
di incontri e eventi, da qualche anno ha trasferito in Lucana il suo entusiasmo
e il capitale di conoscenze e di rapporti, facendosi promotrice di una rete
di iniziative capaci di creare links col contesto nazionale. O come Carmen
Laurino, che dopo aver abbandonato il capoluogo lucano per Roma a diciotto
anni perché, dice, “avevo vagamente la sensazione che il mio
passo fosse più veloce di quello che avevo intorno a me”, ha
deciso anche lei di fare rientro a Potenza, pur cercando “di muoversi
molto spesso e soprattutto all’estero”. Impresa peraltro non agevolissima,
in una regione con grandi carenze nella rete di comunicazioni, da sempre forte
handicap alle promesse di un suo sviluppo. Ne sa qualcosa il potentino Silvio
Giordano, pure lui impegnato in uno schizofrenico “pendolarismo colto”.
Mentre Ferdinando Mazzitelli, che ha lasciato Montescaglioso alla volta
di Milano molti anni orsono, periodicamente non perde il vizio di organizzare
qui incursioni creative, con residenze di artisti che coinvolgono l’intera
comunità locale. Storie ordinarie, si penserà, di un Sud
che nell’arte e non solo sconta ancora l’ endemica fragilità
del mercato e le latitanze istituzionali. Ma storie anche diverse, sintomatiche
di questa nuova voglia di fare e di cambiare. Colti e informatissimi, i cinque
autori da me scelti offrono senza inibizioni un contributo d’idee alle
urgenze creative del momento. E spesso, se hanno deciso di andare via ma poi
tornare oppure più semplicemente di restare, s’impegnano in prima
persona in una battaglia culturale che passa attraverso attività concrete.
Detto questo, è impresa difficile tentare di individuare tendenze o
fili conduttori dietro le rispettive ricerche che (come già notava
Barbara Improta nel primo capitolo di Index), smaltiti gli equivoci antropologici
della stagione precedente, si relazionano senza complessi e senza troppi vittimismi agli
stimoli e alle tensioni della scena globale. In generale una temperatura comune
sembra però qui affiorare: il rifiuto per gli aspetti più vistosi
del sistema mediatico (che innesta le suggestioni di questa “terra
del silenzio”, come la definiva Carlo Levi, su un trend internazionale)
e la preferenza per un profilo basso, non urlato, di leggerezza pensosa che
insinua scarti di pensiero critico nelle pieghe nascoste del reale o nei dettagli
del quotidiano. Coscienti che nel nostro tempo la realtà non può
che darsi per tracce, frammenti, esplorazioni a margine o nelle sue pieghe
meno esibite. E’ il caso di Ferdinando Mazzitelli. Assente
per qualche anno, per motivi personali, dalla scena artistica nazionale - dopo
una presenza attiva dalla fine degli anni novanta a Milano e una lunga esperienza
di coordinamento con Cesare Pietroiusti del gruppo Oreste, impegnato con residenze
nazionali nel suo paese di origine, Montescaglioso - è tornato con
nuovi progetti che prevedono anche ulteriori collegamenti tra Nord e Sud.
Per Ferdinando l'arte va intesa come esperienza e non solo come passaggio
estetico. E’ un modo di cambiare il comportamento, in cui il processo
conta più dell’esito formale. “Non amo l’estetica
della ribalta e i sensazionalisti. Mi spaventano i mega progetti. Preferisco
le piccole storie”, ammette. “Da sempre solidarizzo con gli oggetti
insignificanti, anche quelli trovati per strada. Come una gazza mi attrae
tutto quello che luccica: un chiodo ritorto, una pallina di vetro, uno spillo,
un pezzo d’orologio distrutto. Tutte cose inutili, disperse, che non
interessano più e che invece continuo a portare in tasca per giorni
e giorni, come se avessero un potere taumaturgico, una “grazia”
premonitrice. Amo i particolari e la “magia dei piccoli processi, i
microprocessi che racchiudono un’infinità di storie”. Dopo
il periodo di crisi, durante un viaggio in India di due mesi ( “dove
ho visto le lucciole che avevo sognato prima di partire”), Ferdinando
ha capito che era importante cercare di “allargare la dimensione del
desiderio”, acchiappare un sogno. Di qui gli annunci con richiesta degli
insetti luminosi sui giornali locali e banconote che diventano tappeti, o il
tavolo da fachiro Fuck hero, realizzato con matite colorate. Dall’esigenza
di sottrarsi all’omologazione e rivendicare una diversità nasce
invece l’installazione Disney Mandala: 8.900 micro – foto
che vengono da Disney world. Un repertorio di provini a contatto 2x3, sorvegliati
ironicamente da un piccolo Pluto, con facce e gesti di famiglie visitatrici
del parco di divertimenti americani che, ingolfati negli stessi rituali della
società di massa, finiscono per assomigliarsi. In altri casi le opere
si fanno mimetiche, si confondono, si nascondono volutamente, richiamando
un’attenzione più profonda. Ad esempio con la scritta al
neon Era come ora, mimetizzata sul balcone casa sua. Un gioco di parole
ambivalente (“il primo pensiero è che nulla è cambiato,
ma non è questo quello che interessa! Più importante
è creare forme di contrasto al sopra-vivere in un “era”
che tra cent’anni potrà essere ricordata in “ora”
o forse meno. L’interpretazione, forse, non in una risposta
ma in una domanda: “Che cosa resterà di noi?”), che
si ripete nel muro biscotti dove la parola “Immagina” si cancella
in “magna”. Il tema del non essere si ritrova invece disegni
che spariscono, o nell’intervista a Francesca Alessandrini, critica
d’arte recentemente scomparsa. Mentre alla modificabilità delle
cose nascoste fa riferimento la Bacheca di disegni eseguiti a quattro
mani con la ex compagna. Altra componente essenziale, infine, è il
tentativo di attivare una socialità intorno a sé: oltre al nuovo
programma di residenze a Montescaglioso, in gestazione è il progetto
di performances urbane veloci da attuare a Milano con un gruppo di studenti.Anche
il lavoro di Bruno Di Lecce interviene negli interstizi del reale e del già
avvenuto, come premessa e ipotesi per uno scarto conoscitivo e un cambiamento.
“Nel momento in cui il mondo va sempre più verso una omologazione,
cerca la sensazione e i facili piaceri estetici, l’arte deve muoversi
tra le differenze, deve mantenere viva la dimensione empirica e concettuale
dell’esperienza artistica. Deve cercare le marginalità di ogni
tipo, del pensiero, sociali, politiche e organizzative dello spazio dell’abitare”,
afferma l’artista, che si è laureato in Architettura a Roma e
come si diceva, ora risiede a Berlino. “L’arte ha il compito di
mantenere viva la sensibilità, di portare alla presenza gli strati
nascosti della realtà, di reagire ai livellamenti estetici e culturali
dell’industria dello spettacolo attraverso la creatività”.
Utilizzando diversi linguaggi, pittura, fotografia, installazione, performance,
lo sguardo dell’artista e architetto materano si rivolge appunto verso
le zone a margine: come gli spazi interstiziali tra città e campagna,
nella serie di foto in cui oggetti abbandonati nella periferia, con il loro
deposito di storie, sono sovrapposti sul volto di parenti, con effetto straniante.
“L’oggetto abbandonato e sottoposto alle intemperie, fa un passaggio
interessante da oggetto tecnico e quindi riproducibile ad un oggetto originale
irriproducibile per via dei segni che il tempo ha lasciato”. Elemento
che si trova anche nel video Corto Circuito del 2007, in cui sono riutilizzati
alcuni filmini di famiglia super 8, che coprono l’arco di due generazioni
e in cui la pellicola “con il tempo ha subito un invecchiamento che
la rende unica e col contributo della musica cerca un’identificazione
oltre la funzione per cui era stata originariamente pensata”. E’
una traccia ripresa anche nei lavori pittorici: dove “c’è
una sospensione voluta della percezione che allude ai vuoti della periferia
o all’anonimità degli spazi urbani… Lo spazio bianco della
tela oppure le colature casuali sulla superficie rappresentano il tentativo
di negazione della rappresentazione. Solo in alcuni punti la pittura si fa
più precisa e mette a fuoco oggetti trovati che assumono così
un’identità sospesa”. La ricerca di un’identità
mobile e il “tentativo di cercare un’analisi nel disordine”
sono altri motivi ricorrenti. Di qui l’interesse per i sistemi di misura:
come in 166,499 Km circa, una foto con la scia di un aereo: “calcolando
la velocità dell’aereo e il tempo impiegato a descrivere la traiettoria,
la scia diventa un’unità di misura convenzionale che consente
di misurare lo spazio del cielo”. O nella misurazione frattalica della
costa in un’istallazione luminosa nel Porto di Ortigia del 2009.
Un passaggio importante di questa ricerca è l’intervento
presentato il settembre scorso a Skopje, per la Biennale dei giovani artisti
del Mediterraneo: la documentazione di microazioni realizzate con materiali
effimeri durante il tragitto per arrivare in Macedonia. “Ho viaggiato
da Berlino a Skopje senza un progetto a priori, ma con l’idea di abbandonarmi
all’imprevisto. Credevo che la performance potesse essere il viaggio
stesso. Volevo leggere la continuità del paesaggio, essere io la “misura”.
Così in Viaggio sul Danubio, Di Lecce disegna a matita sul vetro
della nave il paesaggio costiero per circa 28 km, tentando di far aderire
“rappresentazione e realtà”. Operazione parallela alla
performance in loco, in cui sulle immagini del viaggio video proiettate cerca
di disegnare i contorni in movimento, nel tentativo di restituire, se non
il viaggio, almeno la memoria dell’attraversamento.La volontà
di giungere ad una sintesi, di contrapporre la forza semplice e silenziosa
di un concetto agli eccessi della comunicazione urlata e dell’estetica
esibita, è il punto di approdo recente anche del percorso di Silvio
Giordano. Implicazioni etiche ed ecologiche hanno sempre sorretto le sue proposte,
che inizialmente utilizzavano i trucchi digitali per mettere in scena ibridazioni
fantastiche e grottesche. Capitoli di un immaginario intriso di visioni apocalittiche
e inquietudini da presagio post-umano, con paesaggi lividi, animali mutanti,
creature organiche mostruose e piante deformi, elaborate su superfici fotografiche
ora più patinate, ora un po' splatter o romantico/gotiche. Oppure prendevano
minacciosamente corpo in plastiche effluorescenze: come Green Day, la scultura
ambientata nel Castello di Lagopesole nel 2008, ammasso organico dai richiami
mortuari, nera espansione putrescente con teschi privati dell’interno
che simbolizzava anche la rivolta di una terra violata, con espliciti richiami
ai lati oscuri dell’estrazione del petrolio in Basilicata. Il punto
di svolta è rappresentato però da Packaging Life, il video vincitore
della sezione video e animazione dell’ultimo Premio Celeste. Alla base
c’è un’idea semplice ma di grande intensità poetica:
dei banali fogli di plastica accartocciata, immortalati con una ripresa velocizzata
mentre si schiudono. Il risultato, sottolineato da un suono gracchiante, è
ipnotico: qualcosa a metà tra il fiore che sboccia e l’insetto
che si dimena, forse morente. Ancora una volta proiezioni di morte insinuano
dubbi nell’utopia malata del progresso e della perfezione tecnologica.
Rinunciando però questa volta a misurarsi con la stessa arma dell’artificio
tecnico e ottenendo degli effetti speciali con mezzi minimi e precari, capaci
però di mettere in atto un dispositivo sensoriale e mentale di rilettura
e riflessione critica su questioni dai risvolti sociali ed ambientali. “La
tematica ambientale è uno dei tanti aspetti sociali che trovo interessanti,
senza per questo definirmi artista ambientalista”, chiarisce Silvio
(in un’intervista di Mauro Savino su LucaniArt Magazine). “Adoro
l’estetica e la bellezza, ma un’eccessiva comunicazione emozionale
dettata dall’aspetto formale toglie allo scambio verbale, alla riflessione,
al porre domande, al commento e al dissenso. Tutti sono tecnicamente preparati,
ma spesso manca un’idea, un concetto, una denuncia… Nella banale
imperfezione delle cose si verificano le sorprese”. E una sorpresa,
non prevista in quelle proporzioni, è stata verificare come il suo
video, messo in circolazione su Internet, si sia infiltrato come un virus
nella rete, facendo il giro del mondo, con ben 10.000 contatti, artistici
ed extrartistici, in un mese…Con una concessione maggiore alla componente
estetica ed emotiva, i temi della memoria e dell’identità declinate
specificamente al femminile percorrono invece la ricerca multimediale di Elisa
Laraia, potentina diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Elemento di avvio è l’idea di “scambio identitario”
come interrogazione continua sulla relazione io/Altro. “Mi concentro
sull’esplorazione dell’identità, sullo scambio identitario
e sulle molteplici possibilità di scelta, studiando teorie che vanno
dalla psicologia alla fisica quantistica come l’interpretazione a Molti
Mondi del fisico Hugh Everett”. Identità che Elisa ha interpretato
e messo in scena dapprima con manipolazioni di foto digitali, come nella pioneristica
serie della Donna di Picche, selezionata per l’Anteprima Quadriennale
a Napoli nel 2003. Oppure con micro narrazioni video, trasposizione della
sua storia dal privato al pubblico, in cui emerge la tensione costante verso
l’essenzialità e la condensazione in un’immagine: dalla
Private conversation intima, misteriosa e fiabesca, al più recente
Tower to tower, dove la ripresa di lei che sale le scale si alterna a quella
del suo avatar digitale. In questa riflessione sulla ridefinizione possibile
dell’identità, Elisa non poteva non lasciarsi intrigare dalla
rete: ed eccola infatti impegnata in un percorso parallelo all’interno
di Second Life. Ma dall’identità al rapporto col passato individuale
con valenze collettive, il passo è breve. Se già nel 2001, con
il ciclo Memory of evidence, la memoria affiorava attraverso la proiezione
sul suo grembo di altre situazioni esistenziali, questa tematica ha assunto
centralità e complessità nei progetti recenti, alimentata come
sempre dal bagaglio di un immaginario vorace, che si nutre di apporti
di artisti vicini ( da Pipilotti Rist a Tracey Emin, Salla Tikka, Matthew
Barney, Ottonella Mocellin), ma anche di molto cinema e teatro di ricerca.
Ecco allora il delicato video di ombre disegnate Doll House, uno scavo nella
memoria privata che fa riferimento alle “quattro case in cui ho abitato”.
Legata al tema della perdita, in cui s’intrecciano vicende di vita non
solo personale, è la Catena in ferro di trenta metri immersa in un
fiume di S. Sofia, sede di una residenza con Anne e Patrick Poirier. “L’identità
e la memoria, immaginate nel loro farsi, nel loro costante modificarsi, implicano
il concetto di crescita, ma anche quello di perdita”, racconta Elisa.
“La memoria, infatti, nel suo gioco di ricordi e dimenticanze costruisce
un puzzle delle nostre vite, in cui ciascuno può cercare la tessera
mancante, quella che potrebbe ridare senso al tutto dell’esperienza,
per bloccare la vita in immagini e sensazioni che emblematicamente la rappresentino.
La riflessione sul trascorrere del tempo come costruzione dell’identità
nello spazio dell’esperienza, riconduce ad un tempo “proprio”
che può riassumere linearità e continuità solo attraverso
oggetti-ricordi. Questa riflessione abbraccia il passato ma anche il futuro,
facendosi consapevolezza della perdita e paura della perdita, ecco allora
l’idea di catturare i ricordi, di imprigionare gli oggetti, quelli che
possono potenziare il potere della memoria, in uno spazio simbolico che li
contenga e li conservi, sottraendoli al suo gioco ambiguo, teche polisemantiche,
che costruiscono wunderkammer”. Dimensione reale e trasfigurazione onirica
convivono anche nella mostra More Memory, ambientata a febbraio nel Teatro
Stabile di Potenza durante il Festival al femminile. Una scritta tra i palchetti
vuoti e cinque teche in cristallo contenenti oggetti di memoria dell’infanzia,
reali ma anche sognati, in un gioco di “ricordi e di dimenticanze che
costruisce un puzzle delle nostre vite”. O nell’ambizioso progetto,
in cerca di committente, con una grande gabbia metallica che racchiude scatole
colorate trasparenti: come a voler chiudere la memoria, per aprirla agli
altri. “La condivisione identitaria in una dinamica di scambio è
il punto cardine della mia sperimentazione sulla centralità del fruitore,
mai inteso come elemento passivo, bensì come partecipe dell’atto
creativo, alla ricerca di un contatto sempre più stretto, sempre più
intimo tra me e l’altro”. Altri sono esplicitamente chiamati in
causa nel grande Water project, con vasche su rotaie e sirene con abiti/corpo
in neoprene, realizzata solo in parte. O che diventano opera d’arte
in progress nell’attività creativo - conviviale della Project
Room, che promuove momenti di aggregazione anche a Potenza quale estensione
dei programmi avviati a Bologna con l’associazione Orfeo Hotel. O ancora
nel programma del “LAP - Laboratorio di Arte pubblica”, dove
Elisa è intervenuta con incursioni “deframmentate” in più
postazioni dello spazio urbano, invitando al contempo altri artisti a ripensare
periodicamente questi luoghi. L’aspetto relazionale, la necessità
di coinvolgere gli altri, è infine esplicitamente al centro della poetica
di Carmen Laurino, potentina di Tito, studiosa di cinema sperimentale applicato
alle arti visive ( il cinema life, sintesi tra cinema e performance, oggetto
della sua tesi e di una pubblicazione per il Corso di Laurea in Scienze della
comunicazione alla Sapienza di Roma). Il confronto con i nuovi mezzi di comunicazione,
cultura del digitale in primis, fa da collegamento tra formazione universitaria
e un percorso artistico che utilizza spesso la fotografia in chiave performativa.
Come lei stessa spiega: “ritengo ci sia stata nella mia ricerca artistica
una naturale evoluzione, individuabile in tre step. Sono partita dall'immagine
in movimento realizzando dei video brevi, che condensassero il linguaggio
di un certo cinema sperimentale, con le avanguardie degli anni ‘70 come
il movimento Fluxus, cercandone un filo conduttore che potesse costruire un
prodotto al limite tra videoarte e cinema sperimentale, mantenendo una linea
narrativa propria del cinema (in cui la dimensione temporale scandisce la
sequenzialità narrativa), senza tralasciare l'espansione dell’immagine
verso la dimensione del suono, propria della video arte. L'immagine statica
mi ha permesso di costruire in un unico frammento tutto il mio immaginario,
con un'attenzione verso la costruzione dell'artificio inteso come un vero
e proprio spazio di sublimazione. Molte delle serie fotografiche costituiscono
sia un elogio alla fantasia, come capostipite di visioni (con uno sguardo
onirico al limite dell'ironico), che una critica alla società contemporanea
e alla sua capacità di compiacere e compiacersi”. Carmen porta
avanti, in pratica, una critica delle immagini attraverso le immagini stesse:
utilizzando spesso, ad esempio, con l’uso predominante del colore, le
strategie di attenzione del codice pubblicitario. Così se nelle prime
Interpellazioni ( 2007-2008) e nelle successive Situ_azioni (2009), l’abbiamo
vista ironicamente immersa in azioni improbabili di sapore ludico e adolescenziale,
con animazioni di “oggetti feticcio”. Il coinvolgimento del
fruitore si è fatto più deciso a partite da Noi siamo qui,
progetto col gruppo a due 1+1 (insieme a Massimo Lovisco), in cui gli altri
artisti invitati alla manifestazione al Castello di San Severina erano
sollecitati a scattare un ritratto alla coppia. O in Greeting from del 2009,
sedici cartoline firmate e numerate spedite dai fruitori della performance
nell’Open Space di Catanzaro a propri contatti personali. Fino all’azione
individuale Take a breath, invito a soffiare dentro bottiglie in vetro, nel
Museo di Arte contemporanea di Skopje in occasione della Biennale. Ma anche
per Carmen Laurino conditio qua non per operare in Basilicata e fertilizzare
di stimoli sé stessa e il territorio, è l’impegno non
separato di organizzazione e promozione di eventi culturali. “Sono parte
dello staff di Amnesiac art, dice orgogliosa, “un'associazione che dal
2001 si occupa di arte contemporanea e che negli anni ha cercato di contribuire
e dare linfa all'arte in Basilicata, ha scoperto piccoli talenti, segue artisti
con l'obiettivo di creare una comunità in continua evoluzione, cercando
di collegarli/ci ad una realtà nazionale. Questo ha favorito nel contempo
una possibilità di scambio interno tra gli stessi artisti, dando la
possibilità di costruire una piccola scena di riferimento. Sono socialmente
radicata nel territorio, sia operativamente che artisticamente, grazie all'attività
associativa che mi ha permesso di lavorare con artisti della scena nazionale”.
E’ una strada importante, una scelta quasi obbligata per le ultime generazioni
di artisti lucani: nel tentativo di offrire un antidoto alle troppe amnesie
della politica riattivando reti di rapporti, ricucendo ferite da dissesti
non solo geologici. Riprendendo cioè, con mutato spirito e più
agile disponibilità al comunicare per immagini, i sogni di cambiamento
in cui si ritrovarono nel cuore del Novecento solitari pionieri intellettuali
sul territorio e grandi illuministi. Non solo Adriano Olivetti e quanti dal
Nord scesero per liberare i Sassi dalla loro gabbia antropologica, ma anche
un lucano come Leonardo Sinisgalli che, partendo dalla sua terra di agricoltori,
di pastori e di briganti, propose a Milano una dimensione umana per la “civiltà
delle macchine”.
Basilicata appears to me as a territory of contradictions
but with a huge potentiality, it is similar to Puglia, where I actually live.This
territory has a suggestive landscape and there is much more to visit than
the famous Sassi of Matera. The uncontrolled building is less than in the
other southern regions and the mass tourism hasn't damaged it yet. The cinema
has first realized it: Pasolini found here his Palestine's soul, more deeper
than Mel Gibson in his film The passion of the Christ; Lina Wertmuller analysed
the crosses of the Basilischi get in touch with the bourgeoisie. The first
generation of directors like Rossellini, Rosi, Taviani, Visconti, Kiarostami,
developed the feeling of nostos, the harrowing desire of the return of emigrates,
and the testimony of a critic like Beniamino Rocco, in his first film Basilicata
coast to coast, is a point of intellectual irony. Basilicata hasn’t
an important structure like Apulia film commission, but the visual culture
has contributed to change the imaginary of a region counted out from the Grand
tour for a long time. This isn’t enough, it wasn’t enough the
millionaire dream of the oil too and the boom of the sofa’s industry,
because it deflated very early. Here there aren’t fast connections,
attendances and intensity of contacts and comparisons. Centuries of isolation
caused the regression in an introverted culture. The emerging democratic meridionalismo
creates a popular imaginary and a social, realistic and fantastic expressionism.
Now there is the need of new strategies: contemporary art is trying to stir
up the situation, thanks to the contribute of young generations... Bruno di
Lecce lives in Berlin and says “Basilicata can give so much to the contemporary
artistic research because it conserves the signs of the millenarian human
passages which has changed the habitat and the landscape..there are themes
and work’s material for thinkers, artists, architects and creative people”.
Unfortunately there aren’t the infrastructures and there is no real
collective conscience of the artist’s role, which is something more
than a simply and personal delight. There are people who decided to come back:
Elisa Laraia, from Potenza. After her degree in Bologna, where she founded
a cultural association, Orfeo Hotel, now she wants to link Lucania in a national
contest. Carmen Laurino left her city to Rome when she was only 18 years old,
because “I’ve felt like my steps were faster compared to the world
around me. Now she decides to come back to Potenza but she travels every times
she can, although the difficulties due to the transports in Basilicata, a
real handicap for this region. Silvio Giordano is an another “schizophrenic
outlier”, Ferdinando Mazzitelli left his small town Montescaglioso to
Milan, but he likes to plan creative activities in his territory, such as
residences for the artists.These are ordinary histories in the South Italy,
where there is the endemic fragility of the market and the institutionalist's
hiding, but they are differences and symptomatic of a new wind of change too.
These artists are very informed about the contemporary art system. They are
trying to get new contributes and creative ideas. They often fight cultural
battles through concrete activities, even if they live away from Basilicata.
It is difficult to try to get trend or links between these artists and their
background, as Barbara Improta noted on the first section of Index project.
I want to relate them with the global scene without complex or paranoia, answering
at the urges of the international contemporary art system. These artists have
something in common: they refuse the flashiest mass media aspects as suggested
by Carlo Levi “landscape of silence” on international trend, and
they prefere a low profile not screamed, a critical but “light”
thoght into the hidden folds of reality or into the details of the daily life.
They know that our reality has a part of tacks and fragments, they want to
explore it on the less exhibited fold. Ferdinando Mazzitelli was an active
presence in the national artistic scene during the 90’s: he was one
of the coordinator, with Cesare Pietroiusti, of the residence program for
artists Oreste in Montescaglioso (MT). Now, after a period of absence due
to personal problems, he is back with new projects linking the north and the
south of Italy. Ferdinando thinks that art is an experience, not only an aesthetic
passage. Art can changes the habits: the course is more important than the
final result. “I don’t like sensational art. I’m afraid
of the great projects. I prefer little histories. I sympathize for insignificant
objects, even found in the streets. I am attracted, as a magpie from shining
objects: a twisted nail, a pin, a piece of a broken watch. I like all the
useless or lost things, I can bring them in my pockets days and days, they
have a thaumaturgical power, a premonitory grace. I like particulars and the
magic of the small process, micro-processes that collect infinitive histories.
Ferdinando, after a period of crisis during which he travelled around India
(and where he saw the firefly he dreamed the night before leaving) he understood
that the most important thing is trying to catch a dream to “extend
the desire's dimension”. From this premise he started to post announcement
on local newspapers looking for lightening bugs, he created carpet with paper
money or a fakir’s table realized with coloured pencils, Fuck hero.
Disney Mandala is an artwork composed by 8900 micro - photos taken in a Disney-world:
it has been created to escape from the homologation and to revenge the diversity.
It is a repertory of 2x3 contact’s prints where hundreds families seem
to be the same, near an ironic Pluto. Someone of the artwork of Mazzitelli
camouflage themselves and they need more attention. Era come Ora is an example
created on his home balcony. It is a word play, “My first thought is
that nothing changed but this does not matter! It is more important the contrast
of surviving in a period that, in a hundred year, could be reminded as the
present or less. The interpretation isn’t an answer but probably a question:
What will happen to us?” The camouflage is underlined in another artwork,
a biscuit’s wall, where the word “immagine” (imagine) becomes
magna (eat!). The “non-being” theme come back in the vanishing
draws, or in the interview to Francesca Alessandrini, an art critic recently
passed away. The Bulletin, a series of draws made with his ex-girlfriend,
refer to the changing things. Another fundamental component of the Mazzitelli’s
research is the socialization: two examples are the new program of residences
in Montescaglioso and the projects of fast urban performances in Milan with
a group of students. The research of Bruno di Lecce is based on real and just
gone real life. It is a preview, a point of view for a changement. “The
world is going to a complete homologation with a semplification of the aesthetic
feelings: art has to move between the differences, it has to keep the empirical
and conceptual dimension of the artistic experience. Art has to research the
marginalized on the thought, the sociality, the politics and the organization”,
says the artist, who graduates in Architecture at the University of Rome and
now lives in Berlin. “Art has to live the sensibility, giving back the
hidden layer of the reality, it has to react to the lowest levelling of the
show system with the creativity. Bruno di Lecce uses difference creative languages:
paints, photographs, installations, performances, he looks on the marginal
zones as the spaces between the city and the country, an example is his series
of picture where abandoned objects are layed upon the head of his relatives.
“Thanks to the signs of the time, an abandoned object become original
and unreproducible, it loose its main function”. This element is present
in the video Corto circuito (2007), where the artist use family's super 8
films because “The film is old and thanks to this it has become unique,
it has a new function with the sound-track in addition, it was different when
it has been originated”. This sign is present in the di Lecce’s
paints too, where “there is a suspension due to the perception of the
empty or to the anonymity of the urban spaces… The white space of the
canvas or the casualness of the drip represent the opposite of the representation.
There are only some focused points which assume a suspensive identity”.
The research of a mobile identity and the attempt of a disorder analysis are
recurrent motif of di Lecce’s artworks. It depends on his interest in
the unit of measurement: in 166,49 km circa there is a photograph of a jet
trail where “The trail become a conventional measure to measure the
space in the sky, trying to calculate the speed of an aeroplane and the time
we spend to calculate its speed,”. Di Lecce also realizes a mensuration
of the coast with a lighting installation in the Ortigia’s port in 2009.
An important passage of his research has been presented in Skopje the last
September at the Biennale of Young Artists from Europe and the Mediterranean:
it is the documentation of the micro-actions realized with ephemeral materials,
collected during his trip to Macedonia. “I travelled from Berlin to
Skopje without a project but I wanted to give up myself to the unforeseen.
I thought that the performance could be the travel itself. My purpose was
to read the continuity of the landscape, I wanted to be the measure of myself”.
In Viaggio sul Danubio, he draws the landscape on the sail's glass with a
pencil, for about 28 kilometres, trying to represent the reality he was seeing.
This was a performance associated with an action in loco, where he tried to
evoke the memory of the trip, drawing the landscape on the projection of the
navigation's video. Silvio Giordano wants to make a sinthesis, contracting
the simple and silenciuos force of the concept with the shouted comunication
and the shown aesthetic. His artworks have always been characterized by ecological
and ethical themes: in the past he uses digital tricks to show fantastic and
grotesque hybrids. He has an imaginary of apocalyptic visions and post-human
foreboding with bruised landscapes, mutant animals or fricki plants, these
photos have a splatter, romantic or gothic taste. His subjects became living
in threatening sculptures: Green Day (Lagopesole, 2008), for example, is an
organic pile which has obit appeals with its empty skulls and which can symbolize
the riot of Basilicata’s territory, due to the oil’s extractions.
The breaking point of his research is the artwork Packaging life, which won
the last Premio Celeste – category video and animation. It is a video
where banal scrunched up pieces of paper are immortalised with a fast motion
shots while they open up. Here there are allusions to the death and doubt
about the progress and the perfection of technology. Silvio Giordano creates
artifices with minimal effects, his artworks are capable to conduce the public
in a mental play, to reflect about social and ecological themes. “I
think that ecological themes are very interesting but I’m not an environmentalist”
– says Silvio to Lucaniart magazine – “I love the beauty
aestheticism but an excessive feeling of communication removes the reflection,
the questioning, the dissents. We are all technically prepared but we often
don't have ideas, concepts, reports. We can find surprises in the banal imperfections
of things…”. And It is a surprise that his video, posted on Internet,
has been seen from about 10.000 artistics and extra-artistics contacts in
a month. Elisa Laraia has a more aesthetic and emotive component in her art
research, she comes from Potenza and she has studied at the Fine Arts Accademy
of Bologna. She is interested in the ideas of “identy exchange”
and in the relationship between herself and the others. “I want to explore
the identities and the identity exchange and the multitude of choices, I like
to study works about psicology and quantistic fisic, like Molti mondi of Hugh
Everett”. Elisa shows these interests with digital photo manipulations,
as in Donna di picche, an artwork selected for “Anteprima Roma Quadriennale
2003”, or in her videos based on micro-actions, a transposition from
her private life to the public sphere: as in Private conversation, an intimate
and mysterious fairy tale or as in Tower to tower, a video where two alternated
shot, one of the artist and one of her avatar, both going up the stairs, showing
a constant tension to the essantiality of one image. She is also interested
in Netart: she is doing a parallel artistic experience in Second life. But
there is a little gap from the intimate to the collective identity. In 2001
she worked for an artwork, Memory of evidence, where the memory of existential
situations has been projected in her worm. This theme is one of the most important
in her ultimate projects. She takes inspiration from other artists (Pipilotti
Rist, Tracey Emin, Salla Tikka, Matthew Barney, Ottonella Mocellin), from
cinema and theatre too. An example is Doll house, a research in her private
memory which refers to the four houses where she lived in. Catena is an artwork
created with a thirty meters long iron, dip into the Saint Sofia’s river,
during an experience in a residency for artists with Anne & Patrick Poirier.
Here there is a lost theme with personal references. “I imagine the
identity and the memory in their constant change, where there is a sense of
the growing up or the lost”.- says Elisa. “The memory is a puzzle
of remembrance and forgetfulness, where everyone can search the lost card
finding the sense of the existence, blocking the life in representative imagines.
The reflection on the time that goes by is the construction of an identity
through it's own experience. It also leads on an own space that assumes continuity
and linearity throug the objects of the memory. It is about the future and
the past, the consciousness of the loss and the fear of the loss, so there
is the idea to catch the memories in a symbolic space that conserve them,
like a wunderkammer”. There were both a real dimension and dream transfigurations
at the exhibition More Memory, in Teatro Stabile of Potenza for the Festival
al femminile. The words in the five crystal's teche on the bandstand of the
theatre, were memories of the childhood, they evoke memories and forgetfulness.
Elisa has a project which is waiting for a committee: a great cage with coloured
transparent boxes: she wants to enclose the memory but in the meantime she
opens it to the others. The “identity share” is one of the most
important aspects of my work, the spectator is an active and creative presence,
I research an intimate contact with the pubblic”. According to this
approach, Water project, an artworks with a great pool and sirens with a neoprene's
body, the work in progress for the project room organized in Potenza, connected
to the programs Orfeo Hotel, LAP – workshop of Public art, where Elisa
has realized raids in different urban spaces, inviting other artist to do
the same. The relationship, the necessity to make art together is the main
purpose of the Carmen Laurino's art research. She comes from Tito, near Potenza,
and she studied experimental cinema applied to visual arts (“cinema/life,
a synthesis of cinema and performances”, it is the object of her thesis
in Communication Sciences at the Sapienza's University in Rome). The use of
mass media and digital instruments, and the photograph used in a performative
sense, are the bridge between her studies and her research as an artist. She
explains: “I think that my research has developed in three steps. I
started from the moving image with experimental short videos, taking inspiration
from the vanguards of the 70es and Fluxus. I use the narrative line of the
cinema and the expansion of the image through a sound which is typical of
the video image. The static image gives me the possibility to concentrate
my imaginary in an unique fragment and I can give more attention to the artifice
as a space of sublimation. Most of my photographs' series are a praise to
the fantasy, with ironic and critical visions for the contemporary society”.
She makes a critic of the image starting from the image and she often use
the advertising strategy to catalyse the attention of the public. In her first
artworks Interpellazioni – 2007/08 and Situ_azioni - 2009 she get dressed
in improbable ironic situations, in a strange set with fetish animations.
The active rule of the spectator is decisive in Noi siamo qui, a project for
the group 1+1 (She founded it with Massimo Lovisco), where the artists invited
for the exhibition at the San Saverina's castle had to takes photographs to
them. Greetting from was a performance at the Open space of Catanzaro, where
the public signed and sent sixteen post cards at her personal contacts. Take
a breath was an individual action, where everyone was invited to blow into
a glass bottle, during the Biennale of Youg Artists from Europe and the Mediterranean
in Skopje. Carmen Laurino thiks that she has to “fertilize” herself
and the territory of Basilicata organizing cultural events and exhibitions.
“I am a member of Amnesiac Art, a cultural association for contemporary
art created in 2001, which discovers talents and tries to make cultural exchanges
with the national scene. We have created a community where we share opinions
and creative ideas, we are a point of reference in Basilicata for up-and-coming
artists. I have my social roots here and thanks to Amnesiac Arts I knew national
artists”. This is an important way to operate, an obliged choose for
the last generation of the artists of Basilicata: they offer an antidote against
the amnesia of politics, they makes relationships, stitching not only geologic
wounds. They have the dreams of change but they have a new spirit and imaginary
too, they have a more willingness to communicate than the intellectual pioneers
of the last century. Adriano Olivetti and some other thinker from the North
of Italy, wanted to free Matera's Sassi from its anthropological cage, but
Leonardo Sinisgalli promotes an human dimension for the machine society in
Milan, starting from his terrotory of farmers, shepherds and bandits.Antonella
Marino
curatrice, storica dell’arte, vive e lavora a Bari | curator and art
historian lives and work in Bari