INDEX #III

 


“Non ci sono terre pure e terre impure di per sé: la differenza sta unicamente nella bontà o malvagità della nostra mente“. Forse è vero che la mappatura del territorio è una questione molto meridiana ma non è un argomento legato esclusivamente al concetto di toponomastica. Il territorio è consapevolezza di un mondo che muta continuamente la propria energia, uno spazio dove anche la parola “contemporaneo” forse non ha più alcun significato “attuale”. Nelle arterie di questa ragione-dinamica è interessante verificare come il territorio in quanto luogo natale abbia il potere di svelare e per certi versi manipolare il lavoro stesso di un artista. Spogliarlo e metterlo alla prova, ma non per renderlo schiavo delle proprie mancanze, bensì delle cognizioni di un nuovo senso di marcia.

Perché le nostre distanze ci stanno distruggendo? Perché le nostre tradizioni ci stanno accusando, e quando i riti di massa cesseranno con il grande vuoto o il grande pieno dorflesiano? E se il territorio fosse demodé c’è una speranza per vivere felici in questo mondo imbastito nel costante rapporto tra realtà e illusione? Si può confermare che il nuovo viene definito barbarico da chi è resistente alla modernità e non comprende le esigenze delle generazioni seguenti, o più semplicemente domandarsi, in un età divisa tra razionalità e superstizione, tra fede e mistificazione, tra fanatismo e agnosticismo, come possiamo vivere senza che sia doveroso chiedersi dove stiamo andando.

Ho scelto il percorso di Dario Carmentano, Marcello Mantegazza, e Luca Acito andando a prendere dalla tavolozza dei loro vissuti, il sacramento di un linguaggio che si chiama “arte”. Non estetismo del bel gesto, ma percezione delle alterità che producono un cortocircuito che dà un senso alla contraddizione tra tradizione e contemporaneità.

All’interno della frattura insanabile tra la cultura materiale e la cultura della collettività fiorisce Matera, la periferia dell’eccellenza, una città dove si può vivere un’esperienza che altrove non si vive. Matera, risulta essere il luogo idoneo dove affrontare il confronto diretto con le alterità (matrimonio, fede, sesso, superstizione, natura, paesaggio urbano) ed analizzare quanto le direttive del sistema dell’arte benché fisicamente distanti, siano vissute con la cerebralità del gesto semplice, non eludibile, molto vicino all’artigianalità del cuore. ”Qui arriva – come sottolinea Dario Carmentano “solo il riflesso delle questioni che si consumano altrove”. E’ davvero un processo molto esclusivo, osservare dall’alto di questa terra fai da te tutti i fenomeni di geopolitica, leggerli da una posizione distante, non privilegiata cercando di assaporare il confronto diretto con il vivere quotidiano ed il peso specifico del lavoro artistico in sé. Gli ossimori di Dario vivono in questo territorio vandeico, lì dove tra le parabole ed i paradossi della fede (o vizi di procedura) la resa culturale non rientra nei parametri consapevoli dell’affettività di una microsocietà di creativi. Una rete sociale che non si alimenta esclusivamente della produzione di opere ma sopratutto dalla costruzione di relazioni. In questo territorio anacronistico, la temporalità plausibile riecheggia agli occhi di un individuo estraneo alla temperatura di questo territorio, come un oasi di lusso, che non sembra dormire all’inferno, ma neppure in paradiso.

La Basilicata di Marcello Mantegazza è il luogo di appartenenza degli affetti. Le esperienze trascorse con il gruppo di Amnesiac Arts (associazione no profit nata dall'incontro di artisti e appassionati d'arte attiva nella città di Potenza), la dicono lunga in fatto di “resistenza” ad una deficienza progettuale ed alla dimensione di una territorialità con delle risorse ancora da consumare, gravida di forze e di canali che si alimentano da se. L’artista demonizza il luogo, solipsistica ed anemica pausa, come il potere di una sterile macchinetta da caffè un po’ spettinata, con le tazzine del servizio buono sbeccate ma accompagnate da squisiti biscotti fatti ancora in casa. Non riesce a trovare una traccia tra sé ed il territorio. Nessuna suggestione tecnica, né contatto a pelle, eppure nonostante tutto, gironzolando tra discorsi di rettitudini familiari ed oscuri protocolli di morte, il regno di Marcello rispecchia un sentire nella sua testa, un percepire al di là della slabbrata turistica allure delle sue giostre paesaggistiche e naturali.

Matera è una città speciale non per il suo presepe dei quartieri Sassi, ma perché nel suo essere territorio quasi magnetico di immagini, amplifica con i suoi cerchi concentrici le stesse tradizioni, le stesse indagini e gli stessi nodi di sempre.“Mediterranei, africani, mussulmani, qui per secoli, non è cambiato niente. La gente viveva nelle grotte ed è rimasta a vivere spiritualmente nelle grotte. Nell’occhio cosmico della grotta si è insinuata la magia delle ombre. Le grotte sono archetipi di protezione, luoghi confortevoli per l’anima” - racconta Luca Acito. Il sud Italia come il sud del mondo e la tendenza occidentale regina della velocità non ci lascia assaporare il valore della lentezza.

Ciò che guida il lavoro del regista e video artista, Luca Acito non è il senso nostalgico, bensi lo stato di soglia, indispensabile per realizzare una cerniera che schiuda il confrontarsi di un’arte relazionale. Il video è come il gioco della sottrazione delle ombre. Nell’Ora del Diavolo di Fernando Pessoa, il diavolo è il dio dell’immaginazione. L’ombra è immateriale, cangiante ed illusoria. La prima cosa che vediamo e con la quale creiamo “mondi” viaggia attraverso l’ombra. L’incontro di un’ombra reale e di un’ombra virtuale è magico come il lenzuolo della nonna. Il suo cinema ambulante lo convoglia all’interno del valore itinerante di un reportage in cui il megafono strilla e racconta di una cultura che bussa sotto casa tua e promette stimoli di crescita alle new town del futuro. Matera, il luogo d’incontro culturale dove se ragioni al contrario avrai la salvezza, come il mezzo busto di una statua, posizionata sempre in luoghi diversi, pronto ad essere infiocchettato o sfregiato per diventare il mostro collettivo. La violenza arcontica e performante dei popoli si ciba di alimenti umani per concimare le proprie orde di demoni. Il territorio umano da pugni nello stomaco e conosce solo il furto energetico. Il territorio urbano invece va a caccia di nuovi esploratori di abissi. Bisogna mettersi la maschera e andare sotto e affrontare il buio. Mettersi in gioco. Forse la gente e i luoghi non cambiano ma si rivelano.

Forse come afferma il Gino De Dominicis della mia fantasia, gli artisti a Sud sono tutti concettuali se no non si spiegherebbe la diffusione di nomi come Concetto, Concetta e Concettina. Il clan del Sud continua ancora oggi a condizionare le influenze del territorio, entrando in comunicazione con pochissimi. Perché il collezionista del Sud non mette in mostra la propria collezione? Domandateglielo. Lì dove la terra “ciuccia e presuntuosa”, è rimasta immutata per secoli, alcuni attendono che l’oracolo finalmente parli. Ma lui, sorride accoccolato al sole e se ne frega se l’arte eclissandosi nel salmastro della notte possa assaggiare con la sua boccuccia virginale, sorso dopo sorso nuovi calici sempre più misteriosi. Le sue mantiche sono scritte sulla superficie della pietra, ma il responso non c’è, o apparentemente non tutti lo notano a prescindere da contestualizzazioni di carattere culturale e sociale. In queste platoniche caverne, così tanto chic, non c’è angolo dove non abbia mai inciampato un cuore ed un corpo, senza mutare con la propria impronta il destino di molti. Nelle nostre strade, nelle nostre case ciò che è dentro è ciò che è fuori …qui sta il segreto.

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“There are no pure or impure grounds: the only differences are between the goodness and the wickedness of our mind”. It’s true, perhaps, that mapping the territory is a meridian question, but it isn’t only a subject of toponymy. The territory is the knowledge of a world that changes constantly its energy, it is a space where the word “contemporary” looses its “actual” meaning. It’s seems to be interesting verifying how an artist’s native country can reveal or manipulate his work, It gives at his research a new sense, without addicting it.

Why our distances are destroying ourselves? Why our traditions are blaming us? When will our mass rituals cease with the great empty and the great full theorized by Dorfles? Whether the territory is demodé, will there be a hope for us, to feel happy in this word? Somebody describes the contemporary word as a barbarism, but he will not understand the needs of the new generation. How can we live without asking where we are going, while we are living in an age divided between rationality and superstition, fanaticism and agnosticism, faith and mystification?

I have chosen Dario Carmentano, Marcello Mantegazza and Luca Acito’s works and I’ve been researching in their lifes the “art language”. “Art language” is an expression which does not mean aestheticism, but the feeling of the otherness, which gives a sense to the contradiction between tradition and contemporary.

Matera is the place where you can face an “another reality” (the marriage, the faith, the sex, the superstition, the nature, the urban landscape), you can think about the art system with a concept of a simple, traditional act, because it is physically far. “Here we can only see the reflection of the questions that people of art think somewhere else”- says Dario Carmentano. You can observe the geopolitical phenomenon from the high of this “do-it-yourself” land, you can see it from an unfavourable distance, enjoying the direct comparison of the daily life and the value of the artwork. Dario’s oxymoron lies in this territory where the church is a symbol, where the creativity is confined to the parables and paradoxes of the faith. The times, here, at the eyes of a stranger, appears as a luxurius oasi, it seems to sleep not in the hell, neither in the paradise.

For Marcello Mantegazza, Basilicata is the place of affections. The experiences with Amnesiac arts (a non-profit organization based in Potenza, composed by artists and people interested in art) are a form of resistance to the dimension of a territory full of creative energy.
The artist describes his territory as a pause, It is like the power of a “weird moka”, with old little cup and delicious cookies. There are no links between his work and his territory, no technical suggestions, but when we were debating about the family’s affairs and the death, his world reflects a feeling which goes out of his own artistic and conceptual thought.

Matera is a special city not only for its creche called Sassi, but also for its landscape and its magnetic images that amplifies the traditions. “Mediterraneans, Africans, Muslims, have been here for centuries, but nothing has changed. People lived in the caves and nowadays the citizens spiritually still live there. It is a landscape of charm and shadows. Caves are archetypes of protection, they are comfortable place for the soul” – Luca Acito says. The South Italy, as the South of the World, crosses the Occidental tendency of the speed, for the value of the slowness.

Luca Acito’s guidelines, in his work of director and video-artist, are the relationships between the public and the artist, not the sense of nostalgia, because it is the relationship, what necessary for a kind of relational art.
The video is like the removal play of the shadow for him. In Ferdinando Pessoa’s work “L'ora del Diavolo”, the Devil is the God of imagination. The shadow is immaterial and illusory. As soon as we have seen thing in the shadow, we create “worlds” with it. The meeting between real and virtual shadow it’s magic as the grandmother’s sheet. His cinema is a reportage where the culture arrives at your place and promises a growing stimulation to the new town of the future. Matera, a space of cultural meeting where if you think about the contrary you will have the salvation, is like the bust of a sculpture that is always located in different spaces and It could be a collective monster for the public. The mass violence eats the human to fertilize his own demons’ horde.

The human territory gives punch and supports the energy robbery. The urban landscape, on the contrary, researches new exploration of the abyss. We need to put the mask on, go down and face the dark, to put on a play. People and places don’t change, but they reveal themselves. In my head Gino de Dominicis would say “the artists of the South are all conceptual because the great diffusion of names as Concetto, Concetta and Concettina couldn’t have a sense”. The clan of the South continues to influence the region, but its relationships are limited. Why the collectors of the South don’t show their collection? Try to ask them. Where there is ignorance and a condition of immutability, there is someone which is waiting for the oracle. He is smiling, while somebody is trying to taste from his virginal mouth new mysterious drinks. His magical practices are written on the stone, but there isn’t a response, or none can notice it. In the inner part of these platonic smart caves, there isn’t an angle where a soul or a body hasn’t strip over without change the destiny of somebody. In our street, in our houses, all that is in is what you can see from the outside.. this is the secret.

Grazia De Palma
curatrice,vive e lavora a Bari | curator, lives and work in Bari