INDEX #IV

Quando si parla di “arte meridionale”, come scriveva il critico e storico dell'arte Franco Sossi già nella metà degli anni '80, “l'osservazione è d'obbligo, perché proprio la Quadriennale ha dimostrato, ove ce ne fosse bisogno, che non era proprio il caso di ghettizzare gli artisti meridionali in una sezione che, per dirla con Gillo Dorfles, ha tutta l'aria di essere una Cassa per il Mezzogiorno artistico. E che l'arte del Sud non abbia bisogno di casse assistenziali lo testimoniano le opere degli artisti presenti, i quali avevano ed hanno titolo per essere invitati nelle sezioni “settentrionali” (Franco Sossi, La Terra Blu, in catalogo, La Terra Blu. Artisti pugliesi e lucani per un itinerario poetico, in catalogo, Perimetro Edizioni, Potenza 1986). A distanza di oltre venticinque anni da quanto detto da Sossi, sembra indispensabile compiere, a ritroso, un'attenta verifica dei processi di formazione che hanno caratterizzato il contesto artistico. Certamente nell'ultimo decennio lo scenario lucano è stato vivacizzato da alcune istituzioni pubbliche e private - come la Fondazione SoutHeritage -, che hanno creduto nelle potenzialità insite nel territorio, promuovendo costantemente eventi culturali, attività di ricerca. Parallelamente una nuovissima generazione di giovani creativi è emersa, collocandosi puntualmente nel vasto scenario contemporaneo, accanto a chi già da tempo lavora con rigore ed attenzione in una Regione spesso esclusa dai grandi circuiti, che non manca di innovazione e sensibilità. Proprio per questo, per la quarta edizione del Progetto Index ho cercato di soffermarmi su quattro artisti, di generazioni e linguaggi differenti, il cui operare e le cui singole storie arricchiscono lo stato dell’arte lucana, sebbene alcuni di loro non operino - stabilmente - in questo territorio. Quattro storie personali che si manifestano nei rispettivi lavori. Tra tutti Antonio Paradiso, più anziano tra i quattro, che negli anni Sessanta si trasferì a Milano, ma che non ha mai abbandonato il suo territorio, “esposto” in mostre fin dai suoi esordi. E se i suoi primi lavori sono la messa in atto di un substrato culturale molto forte, se la cultura agreste del meridione e la volontà di cogliere i processi evolutivi dell’uomo nella cultura presente e passata, accompagnano tutta la sua produzione, ciò che caratterizza maggiormente il fare di Paradiso è la necessità etica - non solo estetica - di una ricerca artistico-antropologica, che si stigmatizza nella trilogia: vita, usura, morte, come rimarca lo stesso artista. Questa particolare attenzione gli permette di esser sempre a “casa”, anche quando vi si allontana; così come non può rinunciare alle sue origini la giovanissima Valentina Ferrandes che - pur vivendo a Londra - analizza le tradizioni e le ritualità del sud Italia, rielaborandole con i nuovi media. “The Oyster Effect”, opera-video del 2010, ne è la prova. Ispirato agli studi sul fenomeno del tarantismo dell’antropologo Ernesto De Martino - sui quali già Paradiso negli anni ’60 e ’70 si era soffermato, dando vita alle sculture filmate dei “Tarantati” - il video è una sorta di collage tra reperti storici, paesaggi, spazi architettonici, unificati dalla voce narrante di una donna. La tendenza a compiere un’analisi socio-culturale è presente anche in altri lavori come “Lilong” o “Panorama Park” in cui le luci artificiali creano l’illusione di una rappresentazione documentaristica. In tali opere si coglie lo spirito cosmopolita della Ferrandes, che tuttavia non perde mai l’occasione per mostrare la stretta, quanto sottile, relazione che sussiste tra luogo - architettonico - e peculiarità del soggetto. Energia della materia ed identità lucana sono presenti anche nelle fotografie del materano Gerardo Fornataro, che ha fatto del proprio territorio d’origine materiale d’elezione del suo operare. Sembrano collegarsi all’infanzia storica della terra le serie “Murgia” e “Notturni”, nelle quali Fornataro fa dell’arte un ponte culturale tra uomo ed ambiente, tra cultura e natura. I silenzi, le ombre o di contro i colori caldi ed accesi tipici di Matera diventano immagine, così come si palesano le contraddizioni di un territorio a tratti ostile ed impervio, a tratti familiare e domestico. L’arte si fa sociale, diventa politica e costruzione collettiva nello spazio pubblico, polemica contro gli abusi edilizi, contro la vacuità della società. Provocazione e contestazione nei video e nelle performance di Ciriaca Erre, il cui ultimo lavoro “I’m free. Take a piece of me” - al Museo della Permanente di Milano - consiste nell’epurazione dai beni superflui, circa quattrocento oggetti, donati nell’arco di due giorni al pubblico astante, che ha partecipato attivamente e consapevolmente. Ancora una volta - nella ricerca dell’artista - il corpo si fa tramite della relazione tra pubblico e privato, tra interno ed esterno, quali simboli dello scambio, di uno scambio fisico - esemplificato nel dono - e di uno scambio concettuale di emozioni e sensazioni, avvalorato dall’esercizio della libertà individuale (giacché ognuno può scegliere di accogliere o rifiutare il dono). Tutti i suoi lavori sono attraversati dal desiderio di identità e dalla necessità di insinuarsi nei circuiti mentali, giungendone sino ai limiti.

In the '80ies the historian of art Franco Sossi said: “When we talk about meridional art, the observation is necessary. The Quadriennale demonstrated that there was no reasons to ghettoize the meridional artists in a section that, mentioning Gillo Dorfles, seemed to be a fund for the southern creative scene. The artworks of the artists presented at Quadriennale were a proof that they can be included in the “northern” sections. (Franco Sossi, La Terra Blu, in catalogo, La Terra Blu. Artisti pugliesi e lucani per un itinerario poetico, in catalogo, Perimetro Edizioni, Potenza 1986). More than 25 years have gone by already from Sossi’s words and we must verify the evolution process of this artistic context. In the last decade some public and private institutions, like Southeritage, believed in the potential of the territory, by promoting cultural events and research activities. In the meanwhile a new generation of artists has risen in this territory which is often excluded from the main artistic scenery even though it is rich, original and resourceful. For this edition of Index, I decided to focus my attention on four artists. They belong to different generations, they use different languages: although some of them live far from their homeland, they constantly enrich the artistic heritage of Basilicata, the center of their artworks. Moreover their works mirror their personal stories. First of all, Antonio Paradiso, the oldest one. He never forgot his bounds with his homeland even if he moved to Milan in the Sixties. They are shown in his works. We can easily recognize the cultural background in his artworks, but the most important trait is the ethic demand – not only aesthetic – of an anthropological and cultural research, stigmatized in the trilogy: life, wear and death, combined with agricultural and southern elements. The particular technique adopted creates a constant dialogue between the south territory and the artist allowing him to live far away, but at the same time stay closer to his homeland and keep contact with it. Valentina Ferrandes think about her southern origin too, even if she lives in London. She analyses traditions and rituals with new media. “The Oyster Effect” (video, 2010) demonstrates it. Her video is a collage of landscapes and architectural spaces; it is inspired by the studies of the anthropologist Ernesto de Martino on tarantism (like “Tarantati”, a docu-film by Antonio Paradiso recorded in the sixties). Every time Ferrandes makes a socio-cultural analysis: for examples in “Lilong” or “Panorama Park” the artificial lights create the illusion of a documentary. Her cosmopolitan awareness is always combined with the deep connection between the space and personal experience of the subject. The energy of the land and the identity of Basilicata are present in Gerardo Fornataro’s photography, which land is the main subject in. In “Murgia” and” Notturni” series, he underlines the early stage of the land creating a cultural bridge between man, nature and culture. Silence, shadows and intense colors of Matera blend into a whole image: they show inner contradictions of both hostile and family territory. Art gets social, political, a collective construction in public place, against architectural abuse and the vacuity of the society too. Provocation and protest are also a peculiarity of the works of Ciriaca Erre. Her last performance “I'm free to take a piece of me”, in the Museo della Permanente in Milan, is a cleansing process from the unnecessary goods: she gave away 400 objects to the audience which knowingly participated. Once again her body becomes the connection between the public and the private, the inside and the outside. It is a symbol of the physical and conceptual exchange, which is supported by the individual freedom (because everybody can refuse or accept the gift). Through her works she seeks voraciously the identity and tries to explore the mind, pushing to its limits.


Simona Caramia
critico e curatore indipendente, studiosa della fenomenologia dell'Arte Contemporanea, con particolare attenzione allo scenario artistico del sud Italia, è docente all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro. Dal 2009 collabora con recensioni e saggi alla rivista specialistica “SEGNO”.
Critic and independent curator, researcher on the Phenomenology of Contemporary Art, with a focus on the art scene in southern Italy. He teaches at the Academy of Fine Arts of Catanzaro. Since 2009 he is a editor for SEGNO Art Magazine.


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