INDEX

 

 

La Basilicata è in un vicolo cieco’, afferma Donato Faruolo, uno degli artisti da me selezionati per il progetto INDEX promosso dalla Fondazione SoutHeritage per l’arte contemporanea. L’intento del progetto è quello di creare una rete d’interscambio tra la scena artistica locale e quella nazionale e internazionale in grado di promuovere le emergenze culturali della regione, di far luce quindi in questo “vicolo cieco”. Addentrandomi in una strada che sembra senza vie d’uscita, ho rintracciato i difficili percorsi di cinque giovani artisti – Donato Faruolo, Massimo Lovisco, Monica Palumbo, Vito Pace, Michele Santarsiere - all’interno di un contesto asfittico, isolato, una sorta di caverna platonica da cui si intravedono appena le ombre della realtà al di là di essa. Partire da questo isolamento e dai meccanismi messi in atto per aggirarlo, per tentare di colmare un gap culturale indiscutibile rispetto ad altri contesti è a mio avviso indispensabile per capire la situazione artistica contemporanea in Basilicata e per individuare i fermenti culturali più interessanti. Nella distanza dal “sistema” dell’arte, nell’impegno continuo alla ricerca di un linguaggio che sia personale ma che al tempo stesso sappia leggere il mondo contemporaneo nella sua globalità al di fuori di mode e tendenze, nel continuo slittamento da una dimensione intima ed anarchica ad una tensione verso la sperimentazione e la ricerca più attuale risiede la significatività culturale della nuova generazione artistica lucana. E con il termine “nuova” intendo sottolineare la distanza di questi artisti dalle generazioni che li hanno preceduti, quelle che, dal dopoguerra in poi, hanno rintracciato il loro mondo poetico nel richiamo alla cultura contadina, ai suoi ancestrali valori “scoperti” dagli antropologi degli anni Cinquanta in un clima di nuovo umanesimo e ansie di riscatto sociale. In quegli anni i territori attraversati dalle lotte per la terra, l’Italia agricola che si risvegliava al richiamo della Storia grazie all’interesse degli intellettuali militanti - la Basilicata, l’Abruzzo, il Molise, la Calabria - diede vita ad una sorta di koinè culturale di stampo meridionalista che si traduceva, in campo figurativo, in un’arte realista interessata a tematiche sociali. Ad esse si associava un’indagine del paesaggio tutta intrisa di emotività espressiva: un paesaggio aggredito da luci taglienti e colori accesi, lugubri e lirici ad un tempo. La visione ambivalente della natura, che alternava cupezza e solarità, crudezza e dolcezza, era di certo influenzata dall’ideologia meridionalista sospesa tra l’idea edenica di un Sud dai valori puri e immutabili e la denuncia di un Mezzogiorno sciagurato di miseria e ingiustizia sociale, tutto da riformare. Questo movimento ideologico e culturale, se ha avuto l’indubbio merito di restituire una storia e una tradizione, diciamo pure una identità, alle popolazioni del centro-Sud fino ad allora colpevolmente dimenticate, se è stata fecondo humus per poeti e artisti meridionali, si è a lungo andare trasformato in un cliché, uno stereotipo che ha ingabbiato gli artisti meridionali, tra cui quelli lucani, in uno stanco ripetersi di forme ormai prive di alcuna presa sulla realtà contemporanea, profondamente mutata. Negli anni Ottanta gli artisti lucani, di fronte ad una situazione che ormai si profilava di profondo isolamento culturale – la mancanza di un’Accademia di Belle Arti, di un Museo dedicato all’arte moderna e contemporanea, di gallerie d’arte e di fondazioni – hanno reagito costituendosi in associazioni e gruppi, hanno fondato riviste e organizzato mostre allo scopo di colmare il divario tra la cultura nazionale e quella locale. Queste iniziative, che dimostravano comunque una vivacità intellettuale e un interessante tentativo di reazione al sistema centralizzato dell’arte, avevano, a mio avviso, la debolezza di far ricorso agli stessi valori della generazione del realismo, apparentemente rinnovati dal linguaggio post-moderno della Transavanguardia. Si rivolgevano inoltre alla stessa committenza pubblica, e di partito, incline alla mitologia populista, alla promozione di una immagine della regione incontaminata, popolata di fantasmi e simboli fuori del tempo, in eterna attesa di una mitica quanto improbabile palingenesi. Non si vuol dire che il dramma tra politica e natura nella ricerca degli artisti lucani fosse inattuale ma che la strada da seguire fosse preferibilmente quella di un ripensamento del rapporto tra Uomo e Natura alle soglie del XXI secolo, seguendo le orme di Beuys, piuttosto che la ripresa di una visione ideologizzata, o mitica, di tale rapporto. La mia ricognizione della scena artistica attuale in Basilicata ha messo in evidenza l’assenza della tematica contadina nelle opere dei giovani artisti, in esse non c’è alcun ricorso ad antichi miti e leggende né la nostalgia di un passato arcadico in cui rifugiarsi. Gli artisti nati e cresciuti dopo la caduta del muro e delle ideologie nella Basilicata del post-terremoto, la regione della ricostruzione di cemento e delle discariche nucleari, delle estrazioni petrolifere e delle multinazionali di acque minerali, non solo non fanno riferimento alla pittura lucana degli ultimi 50 anni ma spesso ne ignorano la produzione. È una generazione che si è posta da subito e volutamente di fronte alla vertigine di un vuoto assoluto, una condizione di azzeramento da cui partire per una ricerca, per lo più solitaria, libera di cercare i propri modelli dove meglio crede. L’approccio dei creativi lucani all’arte è stato necessariamente indiretto, “mediato” da immagini di catalogo, scritti teorici, studi artistici e soprattutto da internet, uno sconfinato archivio di fotografie e video cui attingere. La produzione artistica che viene fuori da questo particolare stato di cattività ha anch’essa un carattere mediato, concettuale, nasce come un interrogarsi su se stessa, ha bisogno di definirsi e di definire i suoi canali di trasmissione e di comunicazione per esistere. E’ una continua verifica, fatalmente incerta, di questioni linguistiche e tecniche, un’indagine analitica sui media artistici, sulle loro potenzialità e sulla possibilità di diffusione di essi. Non è certo un caso che la maggior parte di questi artisti si esprima tramite fotografie e video digitali, facilmente riproducibili e trasportabili, che alcuni di loro abbiano identità e gallerie virtuali dove esporre, che partecipino soprattutto a progetti multimediali e, in alcuni casi, facciano del prêt-à-porter un valore artistico in sé. Massimo Lovisco (Potenza, 1976), pone la Provincia come parte essenziale della sua poetica, portatrice di sguardi trasversali, di visioni alternative, sottilmente critiche e ironiche del mondo contemporaneo, di pensiero non conforme che trova canali indipendenti per diffondersi e sopravvivere. L’idea di un’arte ‘popolare’ che sia alla portata di tutti, è l’unica eredità della generazione del realismo sociale, idea svincolata, però, da ogni organizzazione di partito, del tutto autarchica e autosufficiente. Polemica verso un sistema ottuso che s’impone anche visivamente, e urbanisticamente, con la sua politica dissennata e irrazionale è anche la visione estetica di Donato Faruolo (Potenza, 1985), puro, etereo pensiero sottoforma di immagine digitale: la più evanescente delle forme artistiche contro la cementificazione della coscienza. La sistemazione apparentemente rigorosa e geometrica del mondo fenomenico in realtà rivela, o nasconde, una metrica a-simmetrica: a volte un intoppo, una specie di impaccio visivo, a volte un ‘trucco’, una (finta) illusione, o la reiterazione di una stessa immagine fanno scattare la molla della riflessione sul ‘vedere’ e sui rapporti tra la realtà e la visione di essa. La riflessione estetica assume un valore etico, come se innescarla possa suscitare nella coscienza una visione critica del reale, una sorta di antidoto all’accettazione passiva di interventi sul territorio del tutto privi di senso estetico e civico. Avido divoratore d’immagini, Michele Santarsiere (Potenza, 1976), potrebbe davvero essere cresciuto ovunque perché il suo immaginario si è formato sullo sconfinato universo mediatico contemporaneo. Una immaginazione sfrenata e sensuale traduce in visioni grottesche, inquietanti o potentemente carnali il suo oscuro mondo interiore. Il corpo e le sue metamorfosi, il desiderio, la vita e la morte sono i suoi temi, tradotti in una estetica molto personale ed originale. Le atmosfere sospese o claustrofobiche, i paesaggi incombenti, gli strani personaggi danno accesso ad un mondo affascinante e splendidamente sinistro quanto misterioso, un mondo fatto tutto di immagini mentali che l’artista costruisce con maniacale precisione. L’esigenza di un approccio diretto, materiale con l’arte spinge in questo caso l’artista a concentrarsi sulle potenzialità tecniche dei media per la creazione del suo mondo poetico. Singolare è che egli parli di ‘sporcarsi le mani’ riguardo la genesi delle sue opere, come a rimarcare l’azione di manipolare fisicamente le sue evanescenti immagini digitali. Vito Pace (Lussemburgo, 1965), fa parte di una generazione precedente rispetto agli altri artisti della selezione. Alcune caratteristiche della sua produzione lo accomunano ai più giovani creativi: l’approccio mentale e meta-cognitivo piuttosto che pulsionale nei confronti dell’arte, la scelta di un azzeramento rispetto alla tradizione, la riflessione sui media artistici come parte integrante dell’opera, l’interesse per un’arte globale che metta in comunicazione mediale realtà artistiche fisicamente lontane, l’arte come evento piuttosto che come oggetto. Rispetto agli altri artisti lucani si avverte però l’apporto significativo dell’approccio diretto con una tradizione estetica diversa – Vito vive in Germania – e il dialogo tra la sua indole di meridionale, ironica, dissacrante, lirica, e il rigore, la pulizia razionale della visione nordica. Pace, inoltre, utilizza diversi media, la pittura, la scultura, la performance, il video, la Net-Art, e possiede una perizia manuale, direi quasi “artigianale”, che paradossalmente utilizza per annullare il senso del ‘fare’. L’arte è un gioco “inutile” che proprio in questa emancipazione dal fare artistico sprigiona il suo messaggio di assoluta libertà intellettuale. Anche Monica Palumbo (Matera, 1972), l’unica materana dei cinque, utilizza tecniche artistiche differenti, compresa la pittura e il disegno, mentre i giovani potentini hanno una preferenza per la fotografia digitale. Nella città che gli urbanisti del dopoguerra avevano eletto ad anti-metropoli, la Matera dei vincoli familiari indissolubili, Monica gioca a interpretare il ruolo della bad girl metropolitana per ricacciare lontano da sé il ruolo subordinato che la società di origine contadina aveva assegnato alla donna per secoli. Da questa prospettiva particolare, l’artista espone ambiguamente il suo corpo alla mercificazione della società contemporanea e si prende la libertà di provocare sia i moralismi del suo contesto d’origine che la falsa emancipazione della società consumistica. Un percorso di riappropriazione della propria identità che parte necessariamente dalla ridefinizione delle sensazioni fisiche e corporee come conquista intima e personale ma anche come affermazione sociale di donna e di artista meridionale del nostro tempo. Il progetto INDEX come percorso di osservazione, ricerca e studio del reale panorama artistico lucano è un passo importante per la creazione di un sistema dell’arte che sia alternativo a quello ‘ufficiale’ ma che sappia connettersi ad esso in un continuo scambio di stimoli e impulsi capaci di valorizzare la specificità artistica dei centri minori senza condannarli all’isolamento. Un sentiero che apre una breccia nel vicolo cieco.

 

Basilicata is in a blind alley’ says Donato Faruolo, one of the artists I selected for Index, a project promoted by the SoutHeritage Foundation. This project intends to create a net of interchanges between the local artistic scene and the national and international one, a net able to promote the young artists of the region, to enlighten that blind alley. Following an apparently dead-end route, I have traced the difficult paths of five young artists – Donato Faruolo, Massimo Lovisco, Monica Palumbo, Vito Pace, Michele Santarsiere – moving within a peripheral context, which has no direct relationship with the general current artistic reality and allows to catch just a glimpse of it, like in a sort of a platonic cave. I believe that it’s essential to start from this particular situation, in order to gain a real insight into the contemporary cultural scene in Basilicata and single out its most relevant artistic phenomena. The significance of the new artistic generation from Basilicata resides in that distance from the art system, in the continuous efforts to search an individual language, able to overcome the intimate dimension and reach the level of an experimental and current research. I would like to underline the definition ‘new artistic generation’ to mark a distance from the artists of the previous one, who, from the 50’s onwards, had been founding their poetics on the ancient values of the agricultural tradition ‘discovered’ from anthropologists. At that time, the territories crossed by the riots for the farmers’ rights - Basilicata, Abruzzo, Molise, Calabria - woke up thanks to the involvement of militant intellectuals. They gave life to a cultural ‘koiné’ of ‘meridionalistic’ imprint. The artistic language of that cultural movement was the ‘Realismus’, whose main subjects were the difficult social condition of farmers and workers and the focus on the landscape. The landscape was imbued with expressive sensitiveness and invested with a sharp light and bright colours, which resulted in a gloomy and lyrical image at the same time. The ambivalent perspective of the Nature, which alternated darkness and shine, crudity and sweetness, was influenced by the ‘meridionalistic’ ideology, hanging between the idyllic idea of the South and the report of its terrible condition of poverty and social inequity. This cultural movement had the indubitable merit of giving a tradition to the population of the South of Italy. It was a fertile humus for southern poets and artists but, in time, became a cliché, a stereotype, which resulted in a repetition of images failing to interpret the changes of the contemporary time. In the 80’s, the artists from Basilicata reacted to the cultural isolation of their territory - the absence of Academies, galleries, museums and associations of contemporary art – uniting themselves in associations and groups, founding magazines and making exhibitions. Despite having demonstrated a cultural liveliness and an interesting attempt to respond to the centralization of the art system, these initiatives had the weakness of turning to the same values of the artists of ‘Realismus’, only apparently renewing them by the post-modern language of the ‘Trans-avanguardia’ movement. Besides, they addressed themselves to the same customers – the local governments or the left-hand political parties - inclined to promote a mythological, unrealistic image of the region. I think that the controversial relationship between Nature and Politics could have been better solved on the track of Beuys, rather than on the recovery of an ideological, or mythical, vision of this relationship itself. My review of the contemporary artistic scene in Basilicata means to highlight the absence of the ‘meridionalistic’ subjects in the works of young artists. There is no recourse to ancient myths and legends, no nostalgia for the past. These artists were born and grown up in Basilicata after the fall of ideologies. They have been living in the region of the post-earthquake concrete reconstruction, the place of oil mining and mineral water multinational companies, that is to say, in a completely different background. This generation intentionally puts itself facing an absolute emptiness, a setting to zero from where they start a research, often a separated one. However, they feel themselves free to find their own references wherever they want. Their approach to art is necessarily indirect: art catalogues, theorical essays and the unlimited photo’s and video’s archive in internet. Art that comes out of this sort of captivity has a conceptual attitude. Born as a research on itself, it needs to define itself and its broadcast and communication channels. The works of these artists could be read as an endless, inevitably uncertain check on technical and linguistic matters, a sort of analytical investigation on artistic media, on their potential and chances of circulation. Most of these artists make digital photos and videos because it is easy to copy and carry them. Some of them has virtual identities and art galleries, others take part in multimedial projects and, sometimes, consider the idea of ‘prêt-à-porter’ as an artistic value itself. Massimo Lovisco (Potenza, 1976), makes the idea of Province an essential part of his poetics. This carries cross sights and alternative, critical and ironic views of the present-day world, expressing non conventional thoughts, that find independent channels to spread themselves. The idea of an ‘art for common people’ is the only legacy from the generation of ‘Realismus’. Nevertheless, it is a completely anarchist and self-sufficient idea, free from with any political organization. The aesthetic poetics of Donato Faruolo (Potenza 1985), means to challenge an arrogant and close-minded social system, which visually imposes its irrational urban and civil politics. The art of Faruolo is a pure, ethereal thought, disguised as digital image: the most vanishing form of art versus the conscience turning in concrete. The apparently geometrical, precise layout of the world of phenomena actually discloses/hides an irregular prosody. Sometimes a sort of visual hitch, sometimes a sort of trick, a (false) illusion, or the reiteration of a same image trigger a reflection about vision and the relationship between reality and the representation of it. The aesthetic research becomes an ethic one, is able to provoke a critical vision of reality, an antidote to the passive attitude towards government politics deprived of civic and aesthetical meaning. Michele Santarsiere (Potenza, 1976), really could be born everywhere, given that his imagery is influenced by the unlimited contemporary media world. A wild and sensuous imagination translates his obscure inner world in grotesque, disturbing visions. The body and its transformation, the desire, life and death are his subjects, depicted in a very original way. The suspended and claustrophobic feelings, the oppressive landscapes, the strange characters bring to a fascinating, sinister world made of mental images that he builds in a very accurate way. In this case, the need of a direct approach to art drives him to focus on technical performances of the artistic media. I find peculiar his statement, when he says “ I like to get my hands dirty” talking about his works, as he wants to point out the physical action of creating his vanishing digital images. Vito Pace (Lussemburgo, 1965), belongs to a previous generation. Some elements of his art are the same of other artists I’ve chosen for the project: a conceptual attitude to art rather than a passionate one, the choice of setting to zero the local tradition, the art media regarded as an essential part of the works, the interest in a global, very communicative art, the idea of art as a fact rather than an object. However, Vito lives in Germany so he has been influenced by another aesthetical vision: in his works we can see the dialogue between the southern nature, ironic and lyrical, and the northern one, rational and rigorous. Besides, he uses different types of media: painting, sculpture, performance, video, net-art. He has a craftiness that he paradoxically uses to cancel the meaning of ‘making things’. Art is a useless game, it is completely independent just when it releases itself from the idea of handiwork. Monica Palumbo (Matera, 1972), the only artist from Matera, uses different media, including paintings and drawings, whereas the artists from Potenza prefer digital photography. Matera was considered the anti-metropolis by the post second war urban planners, on the general idea of the indissoluble parental bonds as the founding structure of that society. Monica plays the role of a metropolitan bad girl to reject the subdued place that the agricultural society has assigned to women for centuries. From that peculiar prospect, she seems to expose her body in an ambiguous way to the modification that permeates the current society. Besides, she takes the liberty of provoke both the prudery of her background and the false emancipation of the post-capitalistic society. It is an effort to take back her own identity, a process that begins from the redefinition of the own physical perception in order to establish herself both as a woman and as a southern artist of the contemporary era. The goal of the Index project is to watch and investigate the real artistic scene in Basilicata. It poses a significant start to the establishment of an art system, which should be alternative to the official one. This ‘underground’ art system should be able to communicate with the ‘official’ one, in order to increase the value of provincial places. The INDEX project opens a breach into the blind alley.

Barbara Improta
curatrice, storica dell’arte, vive e lavora a Roma e Potenza | curator and art historian lives and work in Rome and Potenza